Sei in: Cinema e Medioevo ® Il castello delle ombre ® Le recensioni di Vito Attolini

                                      Il castello delle ombre      a cura di Vito Attolini

Le recensioni di Vito Attolini

 

The Passion of the Christ

Interpreti: James Caviezel, Maia Morgenstern, Monica Bellucci, Hristo Jivkov, Hristo Shopov, Francesco Cabras, Claudia Gerini, Ted Rusoff – USA, 2004

 

   

HORROR  ET SIMILIA

Fra i primi interventi sul film di Gibson, La passione di Cristo, girato nell’incomparabile scenario naturale dei Sassi di Matera, c’è stato un articolo dal titolo eloquente pubblicato sul Corriere della sera del 12.2.04 (V. Zucconi: «La Passione secondo Mel Gibson: sangue, torture e integralismo») che ha dato l’avvio alla lunga serie di recensioni che ne sono sostanzialmente delle fotocopie. Gli argomenti brillantemente esposti in quello scritto li abbiamo poi ritrovati fino all’usura, e quasi senza variazioni, in quelli successivi della critica cinematografica nazionale. Tutti ne hanno subìto l’influenza, tanto monotono è apparso il coro della deplorazione espressa dalla nostra stampa specializzata e no, per gli “effetti grand guignol”, per il “compiacimento nel sangue”, per il “sadismo” che caratterizzerebbero il film.

Tanta unanimità di dissensi dovrebbe insospettire, anche perché spesso parole come horror, splatter, gore – sottogeneri al sangue, questi ultimi due, del genere principe horror – ricorrono con monotonia in tutte le recensioni. Non mette conto, naturalmente, prendere in considerazione chi, non avendolo visto, non ha resistito all’impulso di parlarne (insomma, “non l’ho visto e non mi piace”), magari confidando nella verità indiscutibile della vox populi. Pochissime le voci contrarie, ma quasi tutte non appartenenti alla critica professionale. E fra queste, i “si dice” circa l’autorevole apprezzamento positivo espresso da Giovanni Paolo II e da alcuni alti rappresentanti della Chiesa. Ulteriore motivo, per alcuni critici non cattolici, per prendere le distanze dall’ex Mad Max, dal poliziotto di Arma letale, che ha osato ora introdursi incautamente in territori per percorrere i quali ci vuole ben altra tempra.

Vediamo l’argomento principe del rifiuto di quest’opera, ultima della lunghissima serie di film cristologici che ha inizio alla fine dell’Ottocento. Come s’è detto, secondo la maggior parte della critica, il film avrebbe attinto ad ingredienti resi illustri dai film di Tobe Hooper o Wes Craven, maestri dell’horror. Scorriamone un florilegio minimo: «un film integralista, controriformista, pulp, sadico, ignaro di ogni spiritualità” (R. Nepoti, La Repubblica, 4.4.04); «un Gesù piagato... come a una sfilata di moda sado-maso… body art come nei film di Romero, Bava o Cronenberg… macabra pop art» (M. Porro, Corriere della sera, 4.4.04); «uno splatter, un film che intende guadagnare molto denaro offrendo agli spettatori  tanto sangue e tanta violenza da far apparire Pulp Fiction un cartone animato per bambini della scuola materna» (U. Eco, L’Espresso, 22.4.04); «un film spettacolare… brutto, noioso, ripetitivo… un’unica sequenza di tortura che dura quasi due ore» (G. Fofi, La Gazzetta del Mezzogiorno del 13.4.04); «uno splatter», sintetizza Domenica del Sole 24 ore (R. Escobar, 17.4.04) e via rincarando. Troppo sangue, insomma, per questo Cristo, flagellato da una turba di sghignazzanti romani che sembrano divertirsi a fustigarlo con i loro strumenti di tortura.

Strano però che una critica come la nostra, che annovera estimatori convinti dei film di Tarantino o di Cronenberg, deprechi vivamente la rappresentazione del sangue che ricopre il corpo di Gesù nella lunga via Crucis descritta da Gibson e sottolinei (deplorandolo?) il fatto che l’Italia sia l’unico paese in cui La Passione non ha avuto, come è accaduto altrove, alcuna limitazione per i minori (forse la censura italiana è diventata più illuminata dei nostri critici, timorosi della possibilità che allo sguardo innocente siano mostrate sequenze sanguinolenti?). Avanziamo una ipotesi in proposito: ciò che disturba nell’immagine del Cristo gibsoniano è il fatto che contraddica una idea “angelicata” di Gesù, cui ci ha abituato la tradizione icono-cinematografico (con rarissime eccezioni: il Vangelo di Pasolini in primis). Neppure i dialoghi in aramaico e latino, con cui si esprimono i personaggi, si sono rivelati un’arma culturale vincente. Dov’è il mistero, la fede, il messaggio divino in tanto horror?, si chiedono, smarriti, alcuni critici, molti dei quali, incalliti miscredenti rotti a tutti i razionalismi, rivelano ora una insospettata riserva di spiritualismo che nessuno avrebbe immaginato.

Queste accuse hanno il grosso torto di non aver spiegato la ragione di tanto sangue (ammesso che sia davvero tanto), parlando della Passione di Cristo come di un comune film dell’orrore. Per fortuna lo ha fatto Giovanni De Luna su Tuttolibri della Stampa del 17.4.04, in un notevolissimo intervento, nel quale ha chiarito che «un racconto di questo tipo della Passione di Gesù sarebbe stato impensabile prima dell’11 settembre. Mai la passione cristiana si era affacciata al cinema con tanta virulenza; mai in precedenza la dimensione messianica del cattolicesimo era stata proposta con tanta forza». Pur fra le riserve espresse circa l’ideologia di fondo del film, l’articolo di De Luna può costituire un ottimo avvio per una discussione meno provvisoria di quella, molto superficiale, che ha imperversato sulla nostra stampa.

Un’altra considerazione c’è da fare. L’immagine “corporale” della figura cristologica ha una tradizione che affonda nel passato. La Crocifissione del 1515 di Grünewald, ad esempio, propone un Gesù sulla croce, il cui corpo martoriato dalle piaghe non è molto lontano da quello che appare nella Passione di Gibson. In un eccellente articolo apparso sul Messaggero del 10.4.04 – che però non riguarda il film – Silvia Pegoraro ha ricordato alcuni capolavori eretici della pittura che hanno rappresentato la passione e morte di Cristo al di fuori degli schemi consueti, quelli cui anche Gibson si è opposto. Fra questi ci sono i Tre studi per una Crocifissione di Francis Bacon (1962), una rivisitazione del Crocifisso di Cimabue, in cui il grande pittore inglese riprende, portandolo a termine, un motivo figurativo più volte affrontato in alcune sue precedenti opere. Nei tre studi il corpo di Cristo appare come «una carcassa sanguinolenta», la cui immagine, quanto a splatter o gore, è ancora più avanti della rappresentazione che ne dà Gibson. Molto acutamente la Pegoraro dice che, sebbene priva di carattere divino, questa raffigurazione sacra «ci fa avvertire con lacerante intensità il problema del sacro». Se riuscissimo ad “adattare” questa riflessione per la Passione di Gibson saremmo forse sulla buona strada per un esame più meditato di un film che, comunque lo si voglia valutare sul piano estetico, costituisce fin d’ora uno spartiacque. Come ha dichiarato Abel Ferrara a proposito della filmografia cristologica, ormai si deve parlare di “prima” e “dopo” La passione di Cristo di Mel Gibson.

   

LA SCHEDA DEL FILM

  L'«altra» recensione: di Gaetano Pellecchia

     

     

©2004 Vito Attolini

    


  su  Castello delle ombre-Indice  Cinema e Medioevo-Indice

Indice film