Sei in: Cinema e Medioevo ® Immagini del Medioevo nel cinema - I classici

  testo di Giuseppe Barile  


Braveheart - Cuore impavido

(Braveheart)

di Mel Gibson, 1995

LA SCHEDA DEL FILM

  

      

 

   

Sogg.: Randall Wallace
Scen.: Randall Wallace
Fot.: John Toll
Mus.: James Horner
Inter.:

Mel Gibson (William Wallace), Sophie Marceau (Isabella), Catherine MaCormak (Murron), Patrick Mc Goohan (Edoardo I), Brendan Gleeson (Hamish), Sean McGinley (Macclannough), Sandy Nelson (John Wallace), Sean Lawlor (Malcolm Wallace), Alun Armstrong (Mornay), David O'Hara (Stephen), Peter Hanly (Campbell), Angus Macfadyen (Robert the Bruce).

Nazionalità: USA, 1995
Durata: 178’
Altri titoli: Coeur Vaillant; Corazón valiente

 

Da Maria di Scozia a Macbeth sono molti i personaggi della storia, o del mito, scozzese che si prestano ad essere protagonisti di avventure e drammi, sia per il grande schermo che per la letteratura, ma, sicuramente, uno di quelli a cui la scozia e gli scozzesi, devono di più è William Wallace, eroe della rivolta anti inglese consumatasi a cavallo tra XIII e XIV secolo.

La fucina di Hollywood è sempre sensibile a personaggi che possano incarnare ideali adatti a risvegliare gli interessi del pubblico e pronti a reggere sulle proprie spalle il ruolo di carismatici protagonisti di cui gli spettatori si possano innamorare ed è proprio un personaggio simile che si presta ad essere interpretato e diretto da Mel Gibson nel 1995 in BraveHeart, vincitore di ben cinque Accademy Awards e campione di incassi in sala.

Durante l’intero film, il regista, o meglio, lo sceneggiatore Randall Wallace, intreccia costantemente tre temi, Libertà, Amore e Guerra avvalendosi anche di espedienti non proprio raffinati come l’introduzione della storia d’amore tra Wallace e la futura regina isabella (Sophie Marceau). Sebbene spesso si allontani dalla realtà storica riesce senza dubbio a catturare l’attenzione dello spettatore anche al di fuori delle spettacolari battaglie.

       

Purtroppo Wallace, lo sceneggiatore non il protagonista, non sfugge agli stereotipi del cinema hollywoodiano creando personaggi a misura di spettatore, forse, con l’intenzione di proporre al pubblico una scena in cui sia semplice orientarsi e che permetta di identificare con facilità due schieramenti ben distinti: da un lato la dimensione quasi familiare della compagnia di Wallace che non può non richiamare l’idea di “compagnia” tipica della letteratura fantasy e che incarna una serie ben assortita di valori positivi che spaziano dalla costante fedeltà di Hamish alla “follia” positiva ed illuminata di Steven di Scozia (personaggi che ricompaiono anche nelle varie leggende riguardanti l’eroe scozzese) mentre in contrapposizione il blocco costituito dai potenti, la nobiltà scozzese ed Edoardo primo il plantagento rappresenta un gruppo di uomini malvagi propensi a muoversi nell’ombra e morbosamente attaccati alla propria posizione politica tanto da non farsi alcuno scrupolo al momento di dover impiegare mezzi subdoli, o a vendere l’eroe scozzese al nemico in cambio di nuovi privilegi. A cavallo tra questi due schieramenti si colloca senz’altro uno dei personaggi più interessanti dell’intera pellicola, Robert the Bruce, il legittimo erede al trono di scozia, mosso da sentimenti ed intenti che gli fanno sposare la causa di Wallace, ma costantemente oppresso dalla figura di un padre lebbroso sempre pronto a mettere in risalto la Ragion di stato rappresentata dai potenti piuttosto che i valori positivi espressi dall’eroe.

Naturalmente non si può pretendere che una pellicola il cui scopo principale è l’intrattenimento e non una qualsivoglia forma di didattica possa ricalcare con rigore scientifico l’intera ambientazione medioevale, ma non è di certo troppo severo mettere in risalto alcuni errori grossolani, se di errori si può parlare.

In primo luogo vi sono senza dubbio gli errori più facilmente colti da un occhio anche non eccessivamente esperto, cioè quelli che afferiscono alla sfera dei costumi e dell’ambientazione visiva in se. A proposito di questi errori lo stesso Gibson in risposta alle critiche ricevute ha sostenuto di conoscere queste imprecisioni, anzi, di averle avvallate in favore di un effetto scenico migliore.

Sono questi però, forse, errori o anacronismi trascurabili, ai quali si può tranquillamente ovviare con un occhio attento ed un minimo di capacità di informazione; dopo tutto siamo abituati a falsi storici ben più grossolani e, tutto sommato, nell’economia di una pellicola che richiede soprattutto spettacolo essi possono essere tollerabili.

Tematica cruciale invece è senza dubbio quella che afferisce alla sceneggiatura ed alla visione bicolore degli schieramenti già sottolineata in precedenza.

Gli inglesi in questo caso vestono i panni degli oppressori con Edoardo I il plantageneto re crudele ed assetato di potere, come tutti i re “medievali” che si rispettino, mentre si tratta del sovrano che, partendo dalla base di potere rafforzata dal padre Enrico, riunificò sotto un unico dominio tutto il territorio britannico annettendo il Galles nel 1285 e occupando la Scozia nel 1290 approfittando della crisi dinastica allora apertasi nelle Highlands. Tutto ciò naturalmente giustifica il ruolo di antagonista del re inglese nelle tradizioni scozzesi e gallesi ma di certo non ne fa un sovrano più crudele dei suoi contemporanei o più efferato dei suoi antagonisti. Cattivi come il re delle fiabe appena citato sono i nobili scozzesi, divisi e sempre pronti a complottare perfino gli uni contro gli altri ed a favore dell’invasore inglese pur di conservare le proprie terre ed il proprio titolo, rapidi ad appoggiare Wallace quanto ad abbandonarlo di fronte ad un’offerta allettante del re Inglese. 

A capeggiarli è Robert The Bruce, che nel “medioevo” gibsoniano diventa proiezione su di un personaggio reale del difficile rapporto del regista con suo padre, padre di cui il personaggio è schiavo e succube, sempre costretto ad assecondare gli stratagemmi “disonesti” del vecchio re lebbroso e morente (personaggio dalla dubbia veridicità storica) Robert si trova a compiere azioni disdicevoli che potrebbero avere senso solo nell’ottica di un nobile del XIII secolo (e forse anche di un grande statista dei giorni nostri) di certo si sa che fu re di scozia dal 1306 e probabilmente la sua incoronazione risolse la crisi dinastica tanto da essere celebrato da John Barbour in un’altra opera patriottica scozzese The Bruce (1376). Nel campo dei buoni invece Wallace ed i suoi compagni sono celebrati come esempi di virtù positive come coraggio, lealtà, ecc. Naturalmente c’è da sollevare almeno qualche dubbio sul fatto che in una guerra esistano dei “buoni” tutti gli eserciti razziano la terra nemica per procurarsi vettovaglie, uccidono militari e civili durante l’assedio di una città, spesso sono vascello per la diffusione di epidemie viste le precarie condizioni igieniche in cui agiscono.

è appunto la dimensione dei personaggi che di certo non solo limita la qualità della sceneggiatura ma dipinge un medioevo scozzese più legato al mondo dello stereotipo immaginario piuttosto che a quello della realtà storica e che “tramanda” una serie di idee senza dubbio non del tutto errate ma distorte di quel tanto che basta per permettere allo spettatore voli pindarici che portano molto lontano da ciò che si pensa sia stato e lo avvicinano piuttosto ad un accostamento fin troppo scontato con situazioni odierne che mal si sposano con un mondo in cui sia gli schemi sociali sia le sovrastrutture culturali, senza tralasciare gli schemi di pensiero, sono decisamente diversi.

        

Se la caratterizzazione dei personaggi e dei rapporti politico-sociali dell’epoca è senza dubbio la pecca di questa pellicola, di certo il punto forte di BraveHeart lo si può ritrovare nelle scene di guerra. Sebbene anche qui vi siano dei particolari fuoriposto tutto, a partire dalla fotografia proseguendo attraverso la scelta delle scenografie per finire agli effetti sonori che sono valsi uno dei cinque oscar, richiama in modo sufficientemente veritiero quella che può essere stata una battaglia campale medievale. La scelta di un modo di rappresentazione crudo e diretto trascina vividamente lo spettatore all’interno del campo di battaglia trasmettendo in modo chiaro l’insieme delle sensazioni che si suppone un soldato del medioevo potesse provare sul campo.

In conclusione, Braveheart è senza dubbio uno dei film di maggior successo degli anni Novanta che ha inciso in modo importante sulla concezione di medioevo di un’intera generazione grazie alla capacità del cast di creare una pellicola in grado di coinvolgere la massa degli spettatori, e di rimanere impressa nella memoria. Questa considerazione, però, non può non far riflettere su quale sia stato in fondo l’impatto di questo film sull’idea di Medioevo che ci ha trasmesso.

Una semplice dose di onestà intellettuale (tra l’altro dimostrata dallo stesso regista nell’ammettere l’uso di falsi in favore dello spettacolo) lo avrebbe senza dubbio trasformato in un accettabile strumento di comunicazione riguardante il medioevo, e una maggiore attenzione alle tematiche e alle fonti (sarebbe bastato forse consultare il poema di Blynd Harry Wallace del 1476) lo avrebbe reso uno strumento straordinario.

   

     

       

   

©2008 Giuseppe Barile

    

  


  su  Immagini del Medioevo nel cinema - I classici: Indice  Cinema e Medioevo-Indice del sito

Indice film nel sito