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Le «altre» recensioni

di Gaetano Pellecchia

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LA PASSIONE DI CRISTO

di Mel Gibson, 2004

LA SCHEDA DEL FILM

   

Che ci fa questo film in un sito che si occupa di cinema e medioevo, sia pure nella più larga accezione possibile? Il motivo è che esso poteva costituire un'occasione per accennare ad alcuni aspetti del Medioevo; fra gli altri: l'antisemitismo, i flagellanti, le agiografie, l'iconografia di Gesù. Il film di Mel Gibson, invece, rischia di portarci dalle parti della "pietà barocca" ma anche in questo caso saremmo fuori strada: siamo in piena epoca contemporanea, dalle parti del puro cinema-spettacolo che non indugia ad usare qualunque mezzo per incassare e tenere desta l'attenzione dello spettatore ricorrendo non  solo a tutti i mezzi tecnici possibili, ma anche seguendo tendenze cinematografiche che attualmente riscuotono grande successo presso il pubblico come, ad esempio, l'horror (è il caso della presenza del diavolo) e lo "splatter".  Il proposito di Mel Gibson, cattolico integralista, di raccontare "fedelmente" la Passione di Gesù è dunque da ricondurre all'interno di tale concezione del cinema, che, peraltro, mette in discussione il presunto realismo ventilato da Gibson. Si veda, per tutti, la "lacrima" di Dio che cade sulla Terra alla morte di Gesù: è un effetto speciale che introduce l'elemento fantastico a scapito del "realismo".

Non a caso, quindi, il titolo è "La Passione" e non, ad esempio, "Il Vangelo". Non la "buona novella" della morte e della resurrezione di Gesù, ma la sofferenza, il tormento e la morte inflitti dagli uomini al Figlio di Dio. La sequenza finale della resurrezione di Gesù obbedisce più alla logica che il Figlio di Dio non può non trionfare sulla morte che all'economia narrativa del film. 

In questo film, dunque, non si intende raccontare la vita di Gesù, ma si da per scontato che lo spettatore ne sia al corrente. Una prova di ciò è costituita dai flashback che costellano il film ed in cui Gesù ricorda alcuni momenti della sua vita (terrena, ovviamente). In realtà, in tali sequenze il momento passato (ad esempio, la lavanda dei piedi) o la parabola o l'insegnamento famoso ("ama il prossimo tuo") hanno un taglio essenziale e sono accennati quel tanto che basta allo spettatore per riconoscerli e ricostruirli nella sua mente. Questi flashback, inoltre, hanno la sola funzione narratologica di spezzare ogni tanto un brutale pestaggio (ripreso con dovizia di particolari) della durata di due ore, di far "respirare" lo spettatore e di permettere l'effetto sorpresa con il  ritorno alla cruda e spietata realtà ( ad esempio il martello che sta per conficcare un chiodo nella carne). Questa funzione del flashback ne vanifica un'altra, che probabilmente era nelle intenzioni di Gibson, ovvero il passaggio ed il confronto fra il passato ed il presente. In questo film tale confronto va fatto fra l'esempio e gli insegnamenti di Gesù, da un lato, e la sua fine orribile e solitaria dall'altro. Ma come già detto, l'uso del flashback prende una piega diversa.

Il proposito di raccontare "realisticamente" la Passione di Gesù e farne oggetto di riflessione e umana "pietas" è disatteso dall' eccessiva insistenza di Gibson sul dettaglio raccapricciante e atroce.  Tale  insistenza  diventa ripetitività, assuefazione al dolore, e, in quanto tale, finisce col non farci partecipi del dolore fisico e spirituale di Gesù (per non dire dei suoi  insegnamenti), nemmeno come uomo. Per inciso: non è un caso che si utilizzi molto il Vangelo di Giovanni, più ricco di dettagli e tale da permettere, di conseguenza, la possibilità di aumentare le scene di tortura.

Per tutta la durata del film si sottolinea continuamente che chi stanno massacrando è il Figlio di di Dio. Gli uomini, qui soprattutto gli Ebrei, non vogliono riconoscere tale "verità" e mettono in mostra i loro lati peggiori, a voler usare un eufemismo. Ma sono i sacerdoti ebraici ad essere più duri ed ottusi del loro popolo. Sono loro che, più di tutti, si rifiutano di riconoscere il Figlio di Dio e gli infliggono tutto quel male. Eppure, ancora una volta, a furia di insistere troppo sui dettagli, in questo caso l'accanimento dei sacerdoti contro Gesù, la vicenda sembra sfuggire di mano a Gibson ed  i sacerdoti ebrei appaiono più come paradigmi della pericolosità del potere politico in mano ai religiosi che come rappresentanti del popolo ebraico.

La scelta di mettere in primo piano l'atrocità della Passione ha relegato in secondo piano la recitazione,  ma va citata almeno Maia Morgenstern, che interpreta Maria. Inoltre alcune scene corali sembrano molto approssimate, simili alle tante "passioni viventi" messe in scena nei più disparati angoli del mondo.

   


GIOVANNA D'ARCO

di Luc Besson, 1999

LA SCHEDA DEL FILM

   

Il titolo italiano vorrebbe far intendere che si è in presenza di un film al cui soggetto il regista ha impresso una forte caratterizzazione o un punto di vista originale. Così non è. Anzi, è proprio la regia senza personalità, insieme ad una sceneggiatura contraddittoria ed ammiccante, la pecca maggiore del film.

Le coordinate del film di Besson sono date in tre sequenze iniziali. Nella sequenza di apertura, Giovanna si confessa ed emerge l'assoluta dedizione della fanciulla a Dio. Nelle sequenze immediatamente successive, si assiste al saccheggio che compiono gli inglesi ai danni del villaggio di Giovanna ed allo stupro di sua sorella Catherine. Giovanna, nascosta dietro una porta, segue impotente le fasi dello stupro  e rimane fortemente traumatizzata dall'episodio. A pellicola inoltrata, la madre del futuro re di Francia zittisce una corte ostile a Giovanna citando una favola che preannuncia un salvatore della Francia mandato da Dio. 

Dio e la Patria, insomma, cui si aggiunge l'inedito tema del trauma. E l'immagine di Giovanna in tutto il film è quella di una donna che agisce soprattutto per conto di Dio nell'interesse della Francia, ma anche sotto l'impulso del trauma subito. è forse da ricercare nel mal riuscito amalgama fra tali temi l'ambiguità del film. Anche perché non mancano spunti interessanti: l'attenzione agli aspetti della vita quotidiana, la durezza e la crudeltà della guerra, l'ostilità che circondava (soprattutto a corte) Giovanna, la contrapposizione tra la fede dei semplici e l'ipocrisia delle gerarchie ecclesiastiche e, soprattutto, il tentativo di presentare Giovanna d'Arco come un personaggio da decifrare: eroina? Fanatica? Invasata? Ma questi ultimi motivi sono sviluppati in maniera approssimata e soffocati dal tema onnipresente del binomio Dio-Patria (una delle chiavi di lettura del film), che trova la sua migliore esplicazione nell'accusa rivolta al sovrano da Giovanna d'Arco: il re pensa alla Corona e non alla Francia «che appartiene a Dio». Il tutto girato secondo le cadenze di un action-movie, con frequenti cadute nella ridondanza e con notevoli concessioni al gusto corrente della battuta ad ogni costo, motivata da esigenze di "sdrammatizzazione" e  riferimenti alla "vita quotidiana". Si veda l'intera sequenza dell'incoronazione del re di Francia: il risultato è qualcosa a metà fra la novella Frate Cipolla (di Giovanni Boccaccio) ed una parata lungo la Quinta Strada a New York.

Besson, dunque, mettendo l'enfasi sui temi del binomio Dio-Patria e del trauma da stupro, o meglio della sua "visione",  e preferendo l'azione e la velocità - sia chiaro: non è una colpa, ma una scelta stilistica che ha le sue conseguenze -  non approfondisce, oltre agli aspetti cui si è accennato sopra, questioni che emergono nel corso della narrazione: quanto può essere importante l'automotivazione in una guerra (o in una battaglia)? Fin dove coincide l'interesse della monarchia con quello del "popolo"? Perché anche i credenti più ferventi hanno spesso la sensazione di essere abbandonati da Dio ?

Piuttosto vi sono cadute nell'estetismo e nella citazione fine a sé stessa: le visioni di Giovanna d'Arco "alla David Lynch" ed il Gesù "preraffaelita" (come ha già sottolineato la critica cinematografica). Ma anche le scene di guerra sono spesso di una efferatezza gratuita che lascia in secondo piano la tragedia che è sempre presente nel combattimento mortale fra uomini.

I personaggi, infine, sono poco credibili a causa di una recitazione (da parte di tutti) eccessivamente sopra le righe: gli attori sembrano più gigioneggiare che recitare.

   


Star Wars Episodio II: L'attacco dei cloni

di George Lucas, 2002

 

LA SCHEDA DEL FILM

   

Quinto film, in ordine di uscita, della serie Star Wars e secondo episodio, nel progetto di George Lucas, dell'intera saga.

In questo film, Lucas cerca di tenere in equilibrio i rapporti tra cinema di fantascienza e di evasione, riflessioni con ambizioni filosofiche ed esigenze di intreccio legate all'"economia narrativa" dell'intera saga.

Sarà bene cominciare soffermandosi sui problemi che Lucas cerca di sottoporre all'attenzione dello spettatore. In primo luogo, su quello riguardante il  confine - e non solo la lotta - fra il Bene ed il Male. Lucas abolisce ogni contrapposizione schematica fra i due termini  e rende i loro confini incerti, affidati all'autocontrollo ed al libero arbitrio. Lo testimoniano le finalità di utilizzazione della "Forza", i cavalieri Jedi che passano al "lato oscuro" della "Forza", lo stesso "lato oscuro" che si insinua, lentamente, nel Senato, la ieraticità ed i tentennamenti di Dookuu, le tentazioni ed i cedimenti di Anakin Skywalker.

Altro tema oggetto della riflessione di Lucas è quello della fragilità delle istituzioni politiche democratiche e del pericolo di un loro scivolamento verso forme di potere di tipo autoritario. Si tratta di un tema che Lucas sviluppa in maniera schematica. Egli evidenzia i rischi cui è sottoposta una democrazia enumerando luoghi comuni sulla corruzione che alligna nei palazzi del potere. Inquietante il fatto che per salvare la repubblica il cancelliere debba assumere maggiori poteri, sia pure provvisoriamente.

Terza questione: la clonazione umana e la manipolazione genetica. Lucas lascia intravedere i pericoli che possono derivarne per l'umanità. Ciò è possibile rilevarlo soprattutto nelle sequenze finali di inquietante potenza, che rimandano ai film di Leni Riefensthal.

Si impone, però una notazione a margine. I cloni sono prodotti per servire i nemici della repubblica e le forze oscure che li agitano. Nel finale, però, i cloni passano al servizio della repubblica. Domanda: la manipolazione "culturale" può essere più forte di quella genetica?

Come si vede, si tratta di problemi (soprattutto il secondo ed il terzo) di grande attualità. Insomma, ancora una volta, le ansie e le paure dell'uomo contemporaneo vengono proiettate in una alterità spaziale  e temporale: «molte migliaia di anni fa, in una galassia lontana...» ma tecnologicamente molto più evoluta del mondo in cui viviamo. Tale alterità sembra essere difesa soltanto dai cavalieri Jedi, reinterpretazione dello stereotipo del monaco-guerriero. 

Come si è scritto in apertura, le problematiche sottese alle vicende e le vicende  stesse sono legate da esigenze di "economia narrativa". Infatti, se L'attacco dei cloni è il secondo episodio in assoluto della saga e se la trilogia comparsa sugli schermi tra la fine degli anni Settanta ed i primi anni Ottanta del secolo scorso (ebbene sì) è il punto di arrivo dei film attualmente girati, allora gli sceneggiatori si trovano a dover percorrere delle vie obbligate. Essi devono sviluppare i seguenti temi: affermazione dell'impero a spese della repubblica, trasformazione di Anakin Skywalker da cavaliere jedi a Darth Vader, concepimento di Luke Skywalker e della principessa Leila. Si tratta di temi che emergeranno sicuramente nel prossimo episodio e che ne L'attacco dei cloni sono già "in nuce". Basti pensare alle forze del male insinuatesi nel senato, all'assunzione di pieni poteri da parte del cancelliere, alla realtà di un esercito di cloni, alle intemperanze ed ai continui cedimenti alle tentazioni da parte di Anakin ed alla nascita del suo rancore nei confronti di Obi Wan Kenobi. è possibile ipotizzare che Luke Skywalker e Leila nasceranno dalla storia d'amore fra Anakin e Amidala?

Da buon prodotto hollywoodiano, però, L'attacco dei cloni deve soprattutto emozionare lo spettatore e realizzare grandi incassi.

Il film si sviluppa su due grandi "assi narrativi". Il primo è il viaggio iniziatico di Anakin Skywalker. è forse la parte più debole del film. Una sorta di stanca ripetizione di quanto visto nei film di questa saga usciti in precedenza.  Lucas cerca di rappresentare un giovane, nel passaggio dall'adolescenza alla maturità, dotato di grandi capacità, combattuto fra dovere e piacere, fra razionalità ed impulsività. Un giovane che fa l'esperienza del male - quando stermina i rapitori di sua madre - e che mostra tutta l'impazienza della sua età; maturano in questo cornice psicologica i rancori di Anakin nei confronti di Obi Wan Kenobi. Ma, anche in quest'ultimo caso, è bene non calcare troppo la mano. Come già detto, Lucas deve pur spiegare come Anakin si trasformi in Darth Vader. Eppure, nonostante l'evidenza dei succitati temi, il risultato è modesto: a tratti si ha l'impressione di assistere ad un'insipida storia d'amore fra adolescenti. Puerile, e non drammatica, appare la reazione di Anakin contro i rapitori di sua madre ed il rancore che egli matura nei confronti di Obi Wan Kenobi.

Il secondo grande tema del film è l'"inchiesta" di Obi Wan Kenobi. Si tratta della parte meglio riuscita del film. Anche se spesso è girata in cadenze da videogames, da cui mutua tutti i limiti (situazioni che si ripetono con gradi maggiori di difficoltà, schematicità) ed i pregi (gli effetti speciali).

Com'è prevedibile, nel finale le suddette due storie si ricongiungono e, in un clima da "arrivano i nostri", i cattivi sono (momentaneamente) sconfitti.

Film avvincente, anche se a tratti prevedibile, e pieno di strepitosi effetti speciali. Ma non film di attori. Anche se un cenno a parte va fatto per Cristopher Lee. Egli "disegna" un personaggio che ha lo stesso carisma e la stessa razionalità dell'Obi Wan Kenobi interpretato da Alec Guinness e del Guglielmo da Baskerville interpretato da Sean Connery.

La regia di Lucas è misurata e attenta, non senza impennate.

   

  

  

©2002-2004 Gaetano Pellecchia

   


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