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  testo di Maria Elena Cafiero  


Francesco Giullare di Dio

di Roberto Rossellini, 1950

LA SCHEDA DEL FILM

 

 

 

   

Sogg.: di Roberto Rossellini, ispirato ai I Fioretti di San Francesco e alla Vita di frate Ginepro
Scen.: Roberto Rossellini, Federico Fellini
Fot.: Otello Martelli
Mus.: Renzo Rossellini (per i brani liturgici, padre Enrico Buondonno)
Inter.:

ldo Fabrizi (Nicolaio, tiranno di Viterbo); Arabella Lemaitre (Chiara), con la partecipazione di attori non professionisti, tra cui fra’ Nazario Gerardi (Francesco d’Assisi), padre Roberto Sorrentino, fra’ Nazareno, Peparuolo (Giovanni il sempliciotto).

Nazionalità: Italia, 1950
Durata: 75’
Altri titoli: The Flowers of St. Francis; Francis, God's Jester; Francisco juglar de Dios

 

  

Il film è una libera riduzione dai Fioretti di San Francesco e il proposito del regista era quello di narrare semplicemente alcune avventure tramandateci dalle leggende sulla vita del Santo e dei suoi primi compagni, cercando di coglier il significato fondamentale della vocazione e della missione, più che una nozione legata alla cronologia o alle esigenze di una storia ufficiale. Nel libro dei Fioretti parve agli autori di raccogliere lo spirito genuino della vita di san Francesco. Il film, in bianco e nero, fu girato nel 1950 e i protagonisti principali, Francesco e alcune comparse, furono presi direttamente dalla vita reale; come sottofondo ad aprire il film, la voce di Renzo Rossellini che recita il Cantico Delle Creature.

Nel complesso il film poggia sullo sforzo di illustrare i Fioretti . L’accostamento al testo non avviene però in termini di dipendenza estetica perché Rossellini non compie una ricostruzione filologica-storica dei Fioretti ma si limita a «ripetere» i sentimenti ivi presenti. Rispetto al libro tuttavia, dove i sentimenti francescani si sostengono in un clima di favola, come una santa leggenda, il film non contiene questa trama di celesti visioni e miracoli; in breve manca quell’unità di fondo e di tono del libro e pertanto il “candore” che avvolge i fraticelli non è più autentico, rendendo tutto poco credibile.

L’ingenuità e la remissività dei fraticelli si carica infatti solo di ridicolo e il processo di puerilizzazione dei personaggi è portato fino all’eccesso. L’episodio che ruota attorno a Ginepro e al tiranno Nicolaio ne è uno degli esempi più chiari; ciò che rende questo episodio il più comico di tutto il film è proprio l’esagerato candore di fra’ Ginepro che sbocca nel ridicolo e finisce per creare nello spettatore l’impressione di trovarsi di fronte ad uno “sciocco”; anche il tiranno e la sua tracotanza gonfiano irrimediabilmente l’episodio e la minuta pantomima, prolissa e buffa porta lo spettatore a smarrire il senso morale dell’episodio.

Mancando un principio unitario che dia coerenza ai vari episodi, è il singolo frammento, il singolo episodio che finisce per contare nel film. Allora la figura occupa per conto proprio l’intero schermo e non lega con la parte che segue; non c’è un filo conduttore tra i singoli episodi, tanto che quando il regista cerca di inserirli in una trama realistica, raggiunge un risultato artefatto, fittizio.

Dal momento che il film manca di una prospettiva narrativa, il regista si serve spesso di bizzarre trovate per conferire un senso alla conclusione degli episodi via via narrati e questa soluzione impoverisce la misura e il senso esatto del brano originario, deviandone totalmente il senso rispetto ai Fioretti, dove ogni azione di Francesco e dei frati cela sempre una morale più profonda. Allo stesso modo l’introduzione forzata dell’avventura o la precisazione di tempo e luogo(come quando sullo schermo piove e nevica come su un presepe di cartapesta, nell’episodio della «perfetta letizia») sono causa di inverosimiglianza spontanea e comicità non voluta in molte scene. Il ricorrere ad un’altra fonte letteraria si spiega col bisogno di cercare elementi di comicità e parodia presenti nella comica e anonima Vita di fra’ Ginepro laddove la canzonatura e il comico non sfiorano mai i Fioretti.

In conclusione, nel tentativo di dare vita ad un prodotto originale e autonomo, il film resta “schiavo” dell’ opera letteraria e la regia si limita alla trascrizione visiva dei gesti e delle parole contenute nei Fioretti, sminuzzando il contenuto dell’opera in frammenti e figurine. Francesco Giullare di Dio fu criticato oltre che per la frammentarietà e il bozzettismo della struttura narrativa e per la velocità di esecuzione, anche per l’assenza di un’indagine profonda e non solo in chiave storica ma anche umana e religiosa del Santo e del francescanesimo. Nonostante le numerosissime critiche, tuttavia, il film rappresentò uno degli esperimenti e quasi una provocazione eccezionale e unica nel suo genere nel cinema neorealista degli anni ’50.

Il film non aveva assolutamente pretese storiche, come lo stesso Rossellini ribadì, né aspirava ad essere una biografia del santo, ma voleva per lo più rappresentare un modo di essere e di pensare, un’esperienza esistenziale emblematica. Che vuol dire ciò? Che il ripercorrere certi aspetti del francescanesimo primitivo, significava per Rossellini rispondere in quel particolare momento che l’Europa viveva e cioè l’uscita dalla guerra, alle «aspirazioni profonde e ai bisogni di un’umanità in crisi».

I temi della spiritualità francescana e la santità di Francesco prima che in senso religioso, dovevano essere letti in senso laico e umano. La santità poteva essere letta come sinonimo di sincerità, anticonformismo, di disponibilità verso gli altri e persino di “follia” e sarebbe stata proprio questa “follia” a proporsi come la soluzione ideale alle contraddizioni e alle falsità del mondo contemporaneo. Nel film la storia è solo un pretesto per parlare di altro, il passato è strumento per esprimere le inquietudini dell’autore e degli anni di cui egli si fa portavoce. L’eroismo ingenuo e sentimentale di Francesco e il suo stile di vita si impongono come alternativa alla realtà attuale. Nel proporre il francescanesimo anticonformistico, al limite della follia, Rossellini ribadisce la sua posizione innanzitutto di ribelle, contrario agli schemi tradizionali e portavoce di una filosofia di vita che vede nell’individuo e nelle sue possibilità di reazione il fondamento del vero progresso sociale e politico.

Il film dunque propone un’“attualizzazione” di Francesco e del Medioevo inseriti in un contesto più vasto di provocazione intellettuale; a fare da antagonista al nuovo, pacifico e alternativo eroismo del santo l’eroismo ingenuo del santo, la rozza e feroce struttura del Medioevo, una realtà che è soltanto “barbarie”, un mondo sordo ad un esempio così umanistico.

Il Medioevo compare nell’unica scena in cui il regista abbozza un quadro realistico dell’epoca e cioè la scena relativa all’incontro tra fra’ Ginepro e il tiranno Nicolaio, espressione dei tempi feroci. La semplicità del frate fa da contrasto a quella sorta di gioco medievale nel barbarico frastuono dell’attendamento piazzato tra gli alberi del bosco; da una parte un esercito di barbari, di macchine guerresche, soldati giganteschi a cavallo coperti di pelli, nell’atto di maneggiare spadoni enormi oppure occupati in mostruosi divertimenti e Nicolaio, chiuso nell’armatura tutta spuntoni, dall’altra la solitudine del fraticello Ginepro, disarmato ma lieto e pacifico.

Il Medioevo e Francesco nel film sono portati fuori dal tempo reale e inseriti in un lembo di realtà costruito quasi al limite della storia assumendo entrambi una funzione “simbolica” e “metastorica”. Il Medioevo diventa la metafora di una condizione assoluta, di un mondo ostile all’autenticità dello stile di vita proposto da Francesco ma allo stesso tempo di un mondo che si avvia a cambiare e ad accogliere in sé novità e fermenti. L’ Europa di quegli anni si configura «come» un Medioevo, un momento di trapasso, per l’appunto, assopita nel generale clima di conformismo da una parte, ma dall’ altra alla ricerca di valori nuovi che appagassero i bisogni e le aspirazioni di un’umanità in cambiamento. La genialità di Rossellini, allora, è proprio nell’ operazione di restituirci un Medioevo diverso e infatti elimina quella cifra di assoluta negatività offrendo una possibilità di riscatto, per l’appunto attraverso la figura di Francesco, capace di far esplodere con l’autenticità e la naturalezza delle sue azioni le acute contraddizioni presenti nella società.

è merito di Rossellini di aver aperto la strada, per la prima volta nella storia del cinema, ad un ripensamento e ad una riformulazione del volto cinematografico del Medioevo così pieno di luoghi comuni e stereotipato (si pensi al Medioevo idealizzato dal cinema hollywoodiano, stracolmo di personaggi della letteratura cortese e cavalleresca). Per la prima volta, inoltre, con Rossellini è il cinema il veicolo di idee, è il cinema a spiegare la realtà circostante, a metterne in luce gli aspetti negativi e positivi, attraverso un efficace paragone con la storia; è il cinema che ci invita a riflettere che può esserci un Medioevo in ogni epoca e che il passato può essere letto con la lente del presente; Insomma è il cinema a parlare e non più la politica e le “ideologie” attraverso il cinema, come purtroppo si era verificato fino agli anni ’50 (si pensi ad esempio alla manipolazione e alla strumentalizzazione da parte del fascismo).

è attraverso l’esperienza del nuovo cinema neorealista così lontana dalla monumentalità dei kolossal della passata cinematografia, che la rappresentazione di una realtà semplice, nuda, povera e colta nei suoi aspetti più dimessi, più quotidiani e miseri, ci restituisce un Medioevo e un Francesco che una logora consuetudine artistica e non solo cinematografica, aveva fatto oggetto di pura e devota ammirazione piuttosto che sollecitare un coinvolgimento ed una riflessione razionale. L’approccio neorealistico ai personaggi del film e alle loro esistenze, si traduce in uno stile vicino alla commedia e in particolare allo stile basso-mimetico della letteratura popolare; ne è un chiaro esempio lo scioglimento buffonesco della vicenda che vede coinvolti il tiranno Nicolaio e frate Ginepro In questa scena il regista riesce a fornirci oltre ad un’ immagine verosimile della piccola comunità bellicosa medievale, anche l’immagine di un Medioevo popolare.

è sull’eredità del Neorealismo, creatore di questo nuovo stile, che si svilupperà e consoliderà nella futura e fortunata produzione cinematografica degli anni ’60, l’immagine di un Medioevo plebeo, diseroico e comico. Più tardi molti altri cineasti, sulla scia delle “sperimentazioni” di Roberto Rossellini, procederanno ancora oltre in quella strada dell’“attulizzazione” del Medioevo e di Francesco d’Assisi; la figura del santo finirà più volte per essere filtrata dai modelli culturali tipici dei movimenti di contestazione dei tardi anni Sessanta, soprattutto con i due film su Francesco d’Assisi di Liliana Cavani. In tal senso sarebbe interessante analizzare l’evoluzione della figura di san Francesco nella storia del cinema e successivamente anche delle fiction televisive.

Numerosi sono gli spunti che il film offre per proposte di tipo storico e questo proprio in virtù del suo antistoricismo. Infatti il regista non affrontando storicamente il Medioevo, anzi limitandosi a presentarci il periodo in maniera neutrale e non insidiato da ovvietà e luoghi comuni, non crea problemi alla storia e dunque favorisce l’accostamento al complesso mondo medievale. Non meno ricca l’offerta di proposte che mirino ad analizzare la figura di san Francesco sotto un duplice profilo; letterario se si sceglie di approfondire l’immagine che di Francesco ci hanno tramandato le leggende sulla sua vita e più precisamente i Fioretti; storico invece se si sceglie di ricostruire l’ esperienza francescana a partire dal suo contesto primitivo, ovvero la divisione dei frati di Francesco dai suoi seguaci e l’ inizio dell’ annuncio del vangelo francescano nel mondo.

La visione del film può sembrare pesante e a tratti noiosa se non si coglie il carattere di novità del Francesco Giullare di Dio rispetto alla precedente filmografia sulla vita del santo, la cui ingenua ambizione agiografica era chiaramente agli antipodi della geniale operazione di Rossellini. Senza questa consapevolezza lo spettatore non coglierà la novità rivoluzionaria del film e si soffermerà sull’ assenza di un filo logico tra gli episodi o sul sapore puerile e spontaneamente comico di molte scene.

   

Breve nota bibliografica

I Fioretti di san Francesco dalle Fonti francescane, edizioni Messaggero Padova.
V. ATTOLINI, Immagini del Medioevo nel cinema, edizioni Dedalo, Bari 1993.
P. BALDELLI, Roberto Rossellini, Samonà e Savelli, Roma 1972 pp. 95-159.
F. CARDINI, Francesco d’Assisi, Mondadori, Milano 1998.
C. FRUGONI, Vita di un uomo: Francesco d’Assisi, Laterza, Bari 2003
J. LE GOFF, San Francesco d’Assisi, Laterza, Bari 2003.
G. RONDOLINO, Roberto Rossellini, 1977, ”Il castoro cinema”, n. 4, Il Castoro.
G. RONDOLINO, Rossellini Roberto, Utet, Torino 1989, pp. 177-303.

   

     

       

   

©2008 Maria Elena Cafiero

    

 


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