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  testo di Giuseppe Losapio  


Perceval

(Perceval le Gallois)

di Eric Rohmer, 1978

LA SCHEDA DEL FILM

 

 

 

   

Sogg.: tratto da Perceval ou le Conte de Graal, di Chrétien de Troyes (XII secolo)
Scen.: Eric Rohmer
Fot.: Néstor Almendros
Mus.: Guy Robert (da musiche dei secoli XII e XIII)
Inter.:

Fabrice Luchini (Perceval), André Dussollier (Galvano), Marc Eyraud (re Artù), Arielle Dombasle (Blanchefleur), Marie-Christine Barrault (Ginevra), Gérard Falconetti (siniscalco Ké), Etcheverry (il Re pescatore), Pascale de Boysson (vedova), Guy Delorme (Clamadieu di Iles), Raoul Billerey (Gornement de Goort), Solange Boulanger, Catherine Schroeder, Francisco Orozco, Deborah Nathan, Jean-Paul Racodon, Alain Serve, Daniel Tarrare, Pascale Ogier, Nicolaï Arutene, Marie Rivière, Pascale Gervais De Lafond, Clémentine Amouroux, Jacques Le Carpentier, Jocelyne Boisseau, Sylvain Lévignac, Michel Coco Ducados, Gilles Raab, Jean Boissery, Claude Jaeger, Frédérique Cerbonnet, Anne-Laure Meury, Frédéric Norbert, Christine Lietot, Hubert Gignoux.

Nazionalità: Francia-Germania-Italia, 1978
Durata: 140'
Altri titoli: Il fuorilegge

 

    

Un giovane e ingenuo gallese dalle nobili origini decide di abbandonare il proprio castello per diventare cavaliere. La madre lo saluta addolorata non prima di fornirgli alcuni precetti. Presi troppo in parola, spingono Perceval ad una serie di peripezie, come le molestie ad una fanciulla e l’uccisione del Cavaliere Vermiglio, che ha derubato re Artù della sua coppa. Sarà il valvassore Gornment de Goort ad educarlo alle arti marziali e alle regole della cavalleria, tra cui la difesa dei pauperes e il divieto di uccidere un cavaliere se questo si dichiara sconfitto. Nel suo viaggio incontra Blanchefleur, la castellana di Beaurepaire, una città assediata; di lei si innamora, liberandola dai cavalieri assedianti. Nel castello del Re Pescatore, il giovane cavaliere è spettatore di un’insolita processione di una lancia insanguinata, della coppa del Sacro Graal e di un piatto d’argento. Per non essere irrispettoso verso il padrone di casa, non chiede, seppure incuriosito, cosa sia il Graal.

Il film lascia Perceval in contemplazione, in balìa dei ricordi dell’amata, della madre e del secreto del Graal e inizia la storia di Galvano, nobile e cortese cavaliere di Artù, anch’egli coinvolto in una serie di peripezie amorose e cavalleresche. Si torna su un Perceval accompagnato dai pellegrini, durante la processione del Venerdì Santo, da un santo Eremita, fratello del Re Pescatore, che si presenta come suo zio svelandogli il segreto del Graal e alleviandogli il pesante ricordo della madre abbandonata, ormai morta per la lontananza del figlio. Il cavaliere si immedesima nel Cristo sofferente, in questo modo ripone i suoi peccati e rinato inizia la ricerca del Graal.

Seppure tra i più costosi film di Rohmer, Perceval le Gallois, tratto dal romanzo di Chrétien de Troyes, Perceval ou le Conte de Graal, ha ricevuto un basso riscontro di pubblico: «non è piaciuto – dichiara il regista nell’intervista riportata da Giancarlo Zappoli – ad altri che agli intellettuali e ai bambini delle scuole inferiori»; distribuito sottotitolato nel 1984 in Italia, ad oggi non è disponibile in videocassetta. Un film apparentemente estraneo alla poetica della Nouvelle Vague, cui il regista è tra i massimi teorizzatori, per diverse scelte stilistiche: l’utilizzo di uno studio chiuso e circolare, di una recitazione teatralizzata, del testo originale in ottonari in rima doppia in francese moderno, della musica del XII e del XIII secolo, di una scenografia stilizzata e dell’animazione (Detassis: «Mi interessava fare un film in cui mancassero tutti gli elementi a cui, in genere, mi appoggio, cioè la realtà in ciò che ha di più aleatorio. Per esempio le intemperie e il vento. La metereologia mi ha sempre molto interessato».)

Componenti che sviluppano un doppio effetto: allusivo e astrattivo. Il primo è costituito attraverso un allestimento scenografico stilizzato e con una disposizione geometrica dei personaggi (Marocco, p. 209), al fine di favorire un processo di “miniaturizzazione” delle scene. L’astrazione, invece, sviluppa una cornice, un tono fiabesco quasi da cartone animato o da musical, una difficoltà, come riporta Vito Attolini nel suo saggio, che l’autore ha avvertito  nel riportare l’ideale cortese alla realtà contemporanea (Attolini 1984, p. 149).

Nella Nouvelle Vague le scelte stilistiche non sono mai arbitrarie ma legate ad una posizione ben precisa del regista alla realtà: «Si direbbe che il Medioevo storico sia piegato in questo film ad una visione eminentemente culturale: l’unica possibilità di farlo rivivere oggi passa attraverso le opere artistiche che ne sono testimonianza, siano esse figurative, letterarie o musicali» (Attolini 1984, p. 153, e Salizzoni, p. 88). Il regista è intento a sviluppare un modello differente di film storico, basato più su intuizioni linguistiche sia di riscrittura di un’opera storico-letteraria, sia di comprensione della stessa.

L’idea nasce nel ‘64, durante le lavorazioni per un documentario didattico per la televisione, Perceval ou Conte du Graal, della durata di 23’ dove la voce fuori campo del regista introduce una serie di brani tratti dall’omonima opera e letti da Christine Théry e Antoine Vitez. «Ho potuto mettere in parallelo la descrizione dei combattimenti che suscitano ammirazione nella poesia del Medio Evo, con le miniature, straordinario esempio di arte decorativa; ma queste cose, in genere, non sono state notate da… da chi? visto che coloro che si occupano di letteratura non si interessano oltremisura dell’illustrazione e chi si interessa dell’illustrazione non si occupa di letteratura. Nel XII secolo esisteva un’arte espressamente importante, forse una delle più grandi, l’arte dei trovatori, l’arte della civiltà occitana. E se io uso questa parola ‘arte’, è perché si trattava della fusione di due attività precise: la poesia e la musica» (Zappoli, p. 69).

    

Rohmer ha in mente il Medioevo dei trovatori e degli artigiani-artisti, di quegli intellettuali che inventano la letteratura romanza di corte e le caratteristiche dell’iconografia dell’epoca, plasmandone l’immagine, tanto da far enunciare al regista la voglia di: «Rivelare il Medioevo nella sua infinita dolcezza»; «La scelta di Rohmer di conservare al film l'eleganza di un romanzo per castellane asseconda, anche, l'iconografia medievale, dove “si vedono persone che tagliano teste in modo estremamente elegante, mentre colui al quale la testa viene tagliata non ha affatto l'aria di soffrire”» (Detassis; così Attolini 1984, p. 151: «I miei castelli sono dorati, gli alberi delle mie foreste sono disegnati e modellati, i miei costumi preziosi… Questo Medioevo nuovo è quello delle stampe degli artisti del XII e XIII secolo. Tutto è stilizzato»).

Ad un’immagine culturale si associa, quindi, una di tipo didattico. Questo Medioevo, definito e “distorto” per essere coerente agli stereotipi dei documentari, si presta molto bene ad alcuni percorsi didattici, preferibilmente applicabili in una scuola superiore, anche se il carattere favolistico del film attira maggiormente un pubblico più piccolo. A parte i problemi di reperibilità della copia sottotitolata in italiano, è preferibile una visione a spezzoni, applicando il metodo del “rompighiaccio” (Medi, p. 188), ad inizio dell’unità di apprendimento per sollecitare l’interesse e sollevando degli interrogativi sul mondo cortese, ma anche sulla società tripartita dei secoli centrali del Medioevo.

Fedele al suo “cinema della parola”, Rohmer da architetto dei dialoghi trova nel Perceval di Chrétien de Troyes il suo archetipo: il ragazzo compie, attraverso una serie di peripezie e di esperienze con il mondo femminile, un viaggio iniziatico di formazione. Il primo Perceval è un “ragazzo selvaggio”, contraddistinto da un’ingenuità indotta dall’educazione protettiva della madre, che emerge ogniqualvolta si affida ciecamente, spesso con effetti ridicoli, alla precettistica materna. L’educazione cavalleresca lo porta dallo stadio di “cavaliere selvaggio” a quello “mistico”, sostituendo la dimensione materna con le regole di un nuovo profilo, in questo passaggio le fanciulle che incontra fungono un ruolo importante: non esiste cavaliere senza una donna da salvare, amare, omaggiare, ma anche da possedere con la forza e da abbandonare.

I passaggi più importanti del film sono la processione del Graal nel palazzo del Re Pescatore e l’incontro con l’Eremita. Se nell’opera la centralità è posta nel significato che assume il Graal, nel film è nella consapevolezza del peccato, ovvero l’abbandono della casa materna e la morte della madre per la disperazione. La salvezza, per Rohmer, non è insita neanche nell’imitazione della Passione di Cristo, unica liberalità nella sceneggiatura, ma è nella consapevolezza di essere un “uomo nuovo” cui cordone ombelicale è stato definitivamente reciso. Come l’eucaristia posta nel Graal avrebbe salvato il Re Pescatore, così la morte della madre appare come un sacrificio per far rinascere il figlio.

  

Infatti, per Rohmer come per Chrétien de Troyes, il modello finale cui tenderà Perceval è Galvano: misurato, nobile e valente cavaliere, esempio perfetto della cultura cortese: «L’incontro tra i due – dichara enfaticamente il regista nel libro di Zappoli – è uno dei momenti “didatticamente” più forti». E per questo motivo che l’uso dei parallelismi tra brani dell’opera e sequenze del film sviluppa la sua massima efficacia in ambienti scolastici. Un esempio è dato dai due modelli di cavalieri, Perceval e Galvano: l’emersione delle rispettive differenze e  complementarità, permette la rilevazione di dati utili che delineano il quadro sociale, culturale ed istituzionale della società europea tra l’XI e il XII secolo.

La rivolta dei cittadini è un caso esemplare dell’immaginario medievale, cui è dedicata una particolare cura sia scenica sia nella definizione dei lineamenti psicologici. Il passo di Chrétien de Troyes è stato studiato da Jacques Le Goff in un saggio del 1979 e pubblicato nel 1998 in Italia. L’immagine della castellana di Escavalon è legata a quella del castello stesso: conquistare la dama equivale al possesso del castello, quindi il dominio della città. L’immagine della città è duplice, la prima è quella dei borghesi armoniosi lavoratori rappresentati in tanti quadretti nelle occupazioni cittadine più importanti, la seconda è quella dei villani inferociti che assaltano la torre: «i borghesi si trasformano in villani – scrive Le Goff –, le classi lavoratrici in classi pericolose, lo stesso re non riesce a farsi obbedire dagli abitanti se non per tramite del sindaco».

Il regista coglie la diffidenza che l’ordine cavalleresco nutre verso la città e restituisce appieno le suggestioni letterarie e storiche: «I guerrieri vedono la città così com’è – continua lo storico francese nello stesso testo –: un sistema di organizzazione economica, sociale, politica e culturale che non è soltanto differente dal sistema di vita della nobiltà guerriera, ma ad esso profondamente ostile, che vuole sconfiggerlo e sembra in condizioni di farlo». Anche “la rivolta cittadina” potrebbe offrire un interessante percorso didattico, in questo caso sarebbe utile lavorare sia sul film, sull’opera e sul testo di Le Goff, facendo emergere l’immagine che i cavalieri hanno della città e viceversa.

Rohmer utilizza in senso univoco questa “sensibilità” medievale basata sull’allusione dei simboli, dei suoni, delle forme e dei colori, proprio nei processi di astrazione dei film. «L’iconografia medievale è la somma di tutti i possibili significati secondi delle cose, allude ad un linguaggio criptato delle immagini e dei testi dove si nascondono le ideologie, messaggi e idee che riguardano completamente i livelli consci, inconsci e subconsci della cultura fin dal primo XX secolo» (Oldoni, p. 190). Giochi allusivi che si prestano ad una lettura, di tipo iconografica, delle miniature e del film, recuperando così la dinamica sviluppata dal regista, oppure ad una riflessione sugli strumenti musicali e sulla musica di quei secoli.

Polisegnica è anche la funzione della foresta, simbolo di passaggio e di comprensione dell’origine delle cose e dell’esistenza, diventa anche l’espediente tecnico per passare da un quadro all’altro. Le armonie cromatiche che si combinano scena per scena hanno una funzione simbolica primaria, anche questa medievale: «I colori hanno la stessa funzione virtuale – continua Massimo Oldoni – nel Medioevo come oggi; alludono ad un codice interpretativo che va compreso secondo i significati della loro scelta».

  

Breve nota bibliografica

V. ATTOLINI, Excalibur: una spada medievale?, in «Quaderni medievali», n. 12 (dicembre 1981).
ID., Perceval, tra letteratura e sogno, in «Quaderni medievali», n. 17 (giugno 1984).
ID., Immagine del Medioevo nel cinema, Bari 1993.

P. DETASSIS, Perceval le Gallois, in «Cineforum», n. 234 (1984) (anche http://www.municipio.re.it/cinema/).
G. GANDINO, Il cinema, in Arti e storia nel Medioevo. Il Medioevo al passato e al presente, a c. E. Castelnuovo e G. Sergi, Torino 2004.
J. LE GOFF, L’immaginario medievale, Roma-Bari 1998.
P. MAROCCO, Rohmer Eric, in Dizionario dei registi del cinema mondiale, a c. G. P. Brunetta, III, Torino 2006.
M. MEDI, Il laboratorio con le fonti filmiche in Insegnare storia. Guida alla didattica del laboratorio storico, a c. P. Bernardi, Novara 2006.
M. OLDONI, Il significato del Medioevo nell’immaginario contemporaneo, in Medioevo reale. Medioevo immaginario. Confronti e percorsi culturali tra regioni d’Europa (Atti del convegno di Torino, 26 e 27 maggio 2000), Torino 2002.
C. SALIZZONI, La storia nel cinema: il Medioevo, Trento 1999.
G. ZAPPOLI, Eric Rohmer, Milano 1998.

 

     

       

   

©2008 Giuseppe Losapio

    

 


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